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8.12.11

LA PATRIA 'E MORTA, MA STAVOLTA NON CI SONO PATRIOTI...

«Siamo caduti in schiavitù», da quando «il capitale straniero», servendosi dei suoi uomini di fiducia, «dopo aver creato i consumatori italiani, li ha indebitati». Non solo i poveri, ma anche il ceto medio: destinato anch’esso a scivolare nel baratro depressivo dentro al quale Mario Monti riuscirà sicuramente a precipitarci, «prima che sarà chiara anche ai ciechi la necessità di uscire dalla Ue e dall’euro». L’economista Stefano D’Andrea non ha dubbi: quella che stiamo vivendo è la “seconda morte della patria”. Forse definitiva, perché «l’idea di un partito dei patrioti lambisce soltanto le menti di qualche migliaio di internauti, che tuttavia in gran parte non aspirano nemmeno a staccarsi dalla tastiera e ad uscire dalle catacombe del web», ormai una nuova «prigione».
Dal blog “Appello al popolo”, D’Andrea ricorre alla “macchina del tempo” per svelare l’abisso nel quale stiamo cadendo e ricorda la storica esortazione partigiani alla «resistenza contro lo straniero», pronunciata dall’allora rettore comunista dell’università di Padova, Concetto Marchesi: «Studenti, una generazione di uomini ha distrutto la vostra giovinezza e la vostra Patria. Traditi dalla frode, dalla violenza, dall’ignavia, dalla servilità criminosa, voi insieme con la gioventù operaia e contadina, dovete rifare la storia dell’Italia e costruire il popolo italiano». Popolo italiano? Ma sì, quello che sotto il fascismo, «unificato da pochi decenni con la violenza bellica», ebbe uno Stato che «forgiò con le leggi la nazione e sviluppò un potente e violento nazionalismo», finito nel bagno di sangue della Seconda Guerra Mondiale.
Renzo Laconi, l’altro comunista ammesso con Togliatti a discutere il progetto di Costituzione, fu esplicito: «Uscito da queste terribili prove, che cosa vuole il popolo italiano?». Semplice: «Ricostruire la propria patria e attuare nella democrazia gli ideali di giustizia». Se lo poteva “permettere”: grazie alla Resistenza partigiana, l’Italia sconfitta aveva evitato di diventare un semplice protettorato americano, come il Giappone. Così, sottolinea D’Andrea, l’Assemblea Costituente potè adottare soluzioni estranee all’impianto imperiale statunitense: forma di governo parlamentare, rifiuto del federalismo e dei giudici elettivi, legge elettorale proporzionale, assenza John Waynenel testo costituzionale del principio della “concorrenza”, previsione di monopoli pubblici e collettivi.
L’americanizzazione dell’Italia fu affidata soprattutto al Piano Marshall e ai film di Hollywood, mentre gli italiani hanno comunciato a convincersi di essere «soltanto una parte della immane massa di consumatori che popola i mercati del mondo». Un popolo di consumatori «governati da industrialotti, rentiers, banchieri e falliti (o tardoni) negli studi», come i campioni dell’attuale “casta”, che ormai spediscono i figli nelle università americane, «come avveniva nei paesi sudamericani»: oggi anche in Italia «la classe dirigente si forma nelle università dell’impero», mentre i nostri “cervelli in fuga”, bene allevati dall’università italiana a spese del contribuente, sono costretti a scappare in Australia, in Canada o negli Usa, esattamente come i poveri medici del Ghana, figli di un paese che finanzia la loro formazione ma poi non riesce a garantire loro un futuro adeguato.
«Ora sono arrivati anche gli aggiustamenti strutturali», annota D’Andrea, ma non è certo un fulmine a ciel sereno: è anzi la diretta conseguenza dell’addio progressivo e rovinoso ai nostri principali diritti: «Prima eravamo stati noi a rinunciare alla sovranità monetaria, alla politica commerciale, al controllo sui movimenti di capitale, nonché a ogni controllo sulla produzione: affidandoci al mercato globale, abbiamo perso anche il controllo sulla distribuzione». Come? Attraverso «innumerevoli “riforme”», che hanno importato «modelli estranei al nostro ordinamento giuridico», dalla nascita di authority indipendenti al nuovo processo penale, dal banana republicsistema elettorale maggioritario al ridisegno federalista dello Stato, fino alla riforma bancaria (che considera le banche alla stregua di imprese come le altre) e all’introduzione della concorrenza come “valore”.
Tutto nella spazzatura: licenze di commercio, minimi tariffari, divieti di pubblicità nelle libere professioni, equo canone, stabilità del rapporto di lavoro subordinato. «Non si accorgono gli italiani depressi e gli intellettuali imbecilli che abbiamo già riformato tutto e destrutturato il nostro ordinamento?», si domanda D’Andrea. «Nessuno che venga assalito dal dubbio che l’Italia sia stata distrutta proprio dalle mille riforme». La Chiesa cattolica, se ipotizza di mutare la preghiera del “padre nostro”, nomina una commissione di biblisti e li fa studiare per almeno quindici anni: «Avete capito, italiani, per quale ragione la Chiesa è capace di durare millenni?».
Ed accoci, puntuali, in fondo alla discesa: «Infine siamo stati commissariati», continua D’Andrea, e oggi «siamo governati da nostri ex rappresentanti presso l’Unione europea e presso la Nato, da ex ambasciatori presso Israele, da banchieri, consulenti del “Sole 24 Ore” e professori di università private (Bocconi, Luiss e Cattolica)». Speranze immediate di risveglio e riscatto? Neanche a parlarne, perché «nessuna forza nuova potrà sorgere dalla massa dei consumatori». Secondo D’Andrea «servirebbe un partito comunista patriottico, come quello che ha guidato la Resistenza Monti e Napolitanoitaliana contro il nazifascismo, ha concorso a scrivere la Costituzione della Repubblica Italiana e ha voluto l’aministia per i fascisti, proprio perché il problema principale era quello di ricostituire la patria».
D’Andrea sogna un «partito dei patrioti», nel quale provenienze politiche anche molto diverse si uniscano, come nel ’45, intorno a pochi e chiari punti. Primo: uscire dall’Unione Europea. Secondo: abbandonare l’euro, adottare la “nuova lira”, da svalutare per affrontare in modo adeguato un “default selettivo”. E poi: reintroduzione del controllo pubblico sul credito, ritorno alla stabilità del posto di lavoro, ripristino dell’equo canone per gli affitti. Scuola: cancellare le contro-riforme degli ultimi vent’anni, cioè l’autonomia scolastica e universitaria, con tutti i suoi corollari. Piuttosto che l’attuale esercito di “professionisti”, D’Andrea preferirebbe addirittura il ritorno alla leva militare obbligatoria, pur di tornare ad avere «un esercito popolare, alternativa al servizio civile». Servirebbe «una specie di Comitato di Liberazione Nazionale», ma purtroppo «ci attendono tempi bui»: perché «la patria è morta una seconda volta e non si stanno formando nuclei di partigiani combattenti, né partiti appartenenti a un Comitato di Liberazione Nazionale».

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